Nelle lunghe ore d'inattività e di ieri
che solo certa età può regalare,
Lemuele Gulliver tornava coi pensieri
ai tempi in cui correva per il mare
e sorridendo come sa sorridere soltanto
chi non ha più paura del domani,
parlava coi nipoti, che ascoltavano l'incanto
di spiagge e odori, di giganti e nani,
scienziati ed equipaggi e di cavalli saggi
riempiendo il cielo inglese di miraggi...
Se tutti i desideri sono solo nostalgia
malinconia d'innumeri altre vite,
nei vecchi amici che incontrava per la via,
in quelle vecchie anime stupite,
sentiva la balbuzie intellettuale e l'afasia
di chi gli domandava per capire,
ma confondeva i viaggi con la loro parodia,
con la paura addosso di partire,
di tutte le sue vite vagabondate al sole
restavano soltanto le parole...
Eppure raccontando dell'evolversi incalzante
dei viaggi presi nella sua memoria,
intuiva con la mente disattenta del gigante
il senso grossolano della storia
e nelle precisioni antiche del progetto umano
nel mondo suo pignolo e limitato,
sentiva la crudele solitudine del nano,
nell'universo quasi esagerato,
eppure raccontando pensava dolcemente
“Da tempo e mare non s'impara niente”.