Nelle lunghe ore d'inattività e di ieri che solo certa età può regalare, Lemuele Gulliver tornava coi pensieri ai tempi in cui correva per il mare e sorridendo come sa sorridere soltanto chi non ha più paura del domani, parlava coi nipoti, che ascoltavano l'incanto di spiagge e odori, di giganti e nani, scienziati ed equipaggi e di cavalli saggi riempiendo il cielo inglese di miraggi... Se tutti i desideri sono solo nostalgia malinconia d'innumeri altre vite, nei vecchi amici che incontrava per la via, in quelle vecchie anime stupite, sentiva la balbuzie intellettuale e l'afasia di chi gli domandava per capire, ma confondeva i viaggi con la loro parodia, con la paura addosso di partire, di tutte le sue vite vagabondate al sole restavano soltanto le parole... Eppure raccontando dell'evolversi incalzante dei viaggi presi nella sua memoria, intuiva con la mente disattenta del gigante il senso grossolano della storia e nelle precisioni antiche del progetto umano nel mondo suo pignolo e limitato, sentiva la crudele solitudine del nano, nell'universo quasi esagerato, eppure raccontando pensava dolcemente “Da tempo e mare non s'impara niente”.