Parole, son parole, quante ormai ne ho adoperate
e quante ancora lette e poi sentite,
a raffica, trasmesse, a pugno chiuso, sussurrate,
sputate, a tanti giri, riverite,
adatte alla mattina, messe in abito da sera,
all'osteria citabili o a Cortina, o a Marghera.
Con gioia di parole ci riempiamo le mascelle
e in aria le facciamo rimbalzare
e se le cento usate sono in fondo sempre quelle
non è importante poi comunicare,
è come l'uomo solo che fischietta dal terrore
e vuole nel silenzio udire un suono, far rumore.
Amore mio,
si è un po' come i commessi viaggiatori
con campionari di parole e umori
a ritmi di trecento e più al minuto;
amore muto, beati i letterari marinai
così sul taciturno e cerca guai
così inventati e pieni di coraggio.
Io non son quei marinai, parole in rima ne ho già dette
(e quante, a mia sorpresa, faccio dire)
nostalgiche, incazzate, quanto basta maledette,
ironiche quel tanto per servire
a grattarsi un po' la rogna, soffocati dal collare
adatto per i cani o per la gogna del giullare.
Poi andare sopra un palco per compenso o l'emozione:
chi non ha mai sognato di provare?
Sia chi ha capito tutto e tutto sa per professione
ci ha l'orgasmo a scrivere o a fischiare,
sia quelli che ti adorano fedeli e senza intoppi,
coi santi non si scherza, abba**o il Milan, viva Coppi!
Amore mio,
beato chi ha le musiche importanti,
le orchestre, i sax, le viole sviolinanti,
non queste mie di fil di ferro e spago;
amore amore,
mi tocca coi miei due giri costanti
far il make-up a metonimie erranti:
che gaffe proprio all'età della ragione.
E sì son tanti gli anni, ma da un lato ancora pochi
Voltaire non ci ha insegnato ancora niente,
è questo quel periodo in cui i ruggiti si fan fiochi
oppure si ruggisce veramente,
ed io del topo sovrastrutturale me ne frego.
“Chi sia Voltaire” mi dite? va be', dopo ve lo spiego.
E se pensate questi i vaniloqui di un anziano,
li ammetto, ma mettiamoci d'accordo:
conosco gente pia, gente che sa veder lontano
e alla maturità dicon sia sordo
perché i rincoglioniti d'ogni parte odian parecchio
la libertà e la chiamano “vagiti”,
“ostie” d'un vecchio.
Amore mio,
è tanto bello urlare al qualunquista,
o un mezzo scemo o un primo della lista
coprendo d'urla il vuoto ed il tumore.
Vorrei giurare
che ho smesso di giocar con le parole
ma è un vizio antico e poi quando ci vuole
per la battuta mi farei spellare.
Le chiacchere son tante e se ne fan continuamente,
è tanto bello dar fiato alle trombe,
o il vino o robe esotiche rintronan nella mente,
esplodono parole come bombe,
pillacchere di fango, poesie dette sulla sedia,
ghirlande di semantica e gran tango dei ma**-media.
Dibattito, a**emblea, reduci, miti, cineforum,
sfilata, movimento, sit-in, radio,
partecipanti uniti, lotta, pugno, spazio, quorum,
concerto, alternativa, rock e stadio,
sinistra, Marx e destra, buco e forza del destino,
scazzato, paranoia e gran minestra dello spino.
Amore mio,
lo so che in questo modo cerco guai
ma non sopporto più ‘sti parolai:
non stare a dire che ci ho colpa anch'io,
amore mio
il gioco è essere furbo e intelligente
e voglio presentarti della gente
se ti interessa ascoltami e vedrai.
Ci sono, sai, nascosti dietro a pieghe di risate
che tiran giù i palazzi dei coglioni,
più sobri e più discreti e che fan meno puttanate
di me che scrivo in rima le canzoni,
i clown senza illusione, fucilati ad ogni muro,
se stan così le cose dei buffoni sia il futuro.
Son quelli che distinguono parole da parole
e sanno sceglier fra Mercuzio e Mina,
che fanno i giocolieri fra le verità e le mode,
i Franti che sghignazzano a dottrina,
che irridono i proverbi e berceran disincantati:
“Fra Mina e fra Mercuzio son parole, e non son frati”.