La mia madre l'ho chiamata sa**o,
Perché fosse duratura sì,
Ma non viva.
I miei amici li ho chiamati piedi,
Perché ero felice solo
Quando si partiva.
Ed il mio mare l'ho chiamato cielo,
Perché le mie onde arrivavano
Troppo lontano.
Ed il mio cielo l'ho chiamato cuore,
Perché mi piaceva toccarci dentro il sole
Con la mano.
Non ho mai avuto un alfabeto tranquillo, servile,
Le pagine le giravo sempre con il fuoco.
Nessun maestro è stato mai talmente bravo,
Da respirarsi il mio ossigeno ed il mio gioco.
Ed il lavoro l'ho chiamato piacere,
Perché la semantica è violenza
Oppure è un'opinione.
Ma non è colpa mia, non saltatemi addosso,
Se la mia voglia di libertà oggi è anche bisogno
Di confusione.
Ed il piacere l'ho chiamato dovere,
Perché la primavera mi scoppiava dentro
Come una carezza.
Fondere, confondere, rifondere
Infine rifondare
L'alfabeto della vita
Sulle pietre di miele
Della bellezza.
Ed il potere
Nella sua immensa intelligenza
Nella sua complessità.
Non mi ha mai commosso
Con la sua solitudine
Non l'ho mai salutato come tale.
Però ho raccolto la sfida,
Con molta eleganza e molta sicurezza,
Da quando ho chiamato prigione la sua felicità.
Ed il potere da quel giorno m'insegue,
Con le sue scarpe chiodate di paura.
M'insegue sulle sue montagne,
Quelle montagne che io chiamo pianure.